Essere felice e non saperlo. Ma la pasta a picchiu pacchiu aiuta?

Sordi mangia la pasta

Massimo è un manager appartenente alla buona borghesia palermitana il quale, quasi sessantenne, avverte intorno a sé la calma piatta di una crisi esistenziale che investe sia il suo ruolo professionale, dove soffre il confronto con un collega sufficientemente giovane e cinico da farlo sentire inadeguato, sia la sua dimensione familiare, priva ormai di passione per Claudia, compagna disincantata e autosufficiente, e di reale interesse per i figli incompresi e incomprensibilmente sfuggenti.
Le note dell’orchestra Mantovani, che giungono a lui attraverso l’aria calda di un pomeriggio di luglio, sono l’occasione per conoscere un vicino di casa mai notato prima, il signor Ribaudo. “Fisico segaligno, più vicino agli ottanta che ai settanta, è certamente stato ai suoi tempi un bell’uomo, alto e magro, adesso un po’ curvo. Pantaloni e camicia bianchi, cappello di paglia chiaro e scarpe un po’ demodè, di quelle bicolori, tela e cuoio estive”. Ribaudo, per la sua curiosa somiglianza con Sir Alec Guinness de “Il Ponte sul fiume Kwai”, viene subito ribattezzato “il Colonnello”.
Personaggio solitario e discreto, il Colonnello scioglie pian piano il gelo della sua riservatezza e lascia fluire, nel corso d’incontri occasionali con Massimo, il racconto pacato dei suoi ricordi e, in particolare, di un amore profondo, mal corrisposto e mai dimenticato. E’ un fiume carsico, quello del Colonnello, intriso di una profonda nostalgia per quello che avrebbe potuto essere e di rammarico per quel che non è stato, nelle cui acque calme e profonde Massimo trova rifugio, intrecciando con quelli del Colonnello i propri ricordi di amori vissuti con lancinante intensità ma ormai dissolti in una pacifica normalità quotidiana.
Nel suo romanzo “Mantovani” (Yorick Editore, 2013) Mauro Leonardi affronta il tema della vecchiaia incombente ritraendola come una stagione della vita capace di sorprenderci con l’improvvisa cognizione che quelli che erano sembrati tormenti giovanili rappresentano, invece, l’essenza stessa di una felicità piena e inconsapevole.
Nel romanzo abbiamo trovato ispirazione per una chicca della gastronomia palermitana: la pasta a picchiu pacchiu o anche “alla carrettiera”.
Se vi state chiedendo che significa “picchiu pacchiu” La risposta è: niente. Probabilmente, come il “pil pil” della cucina catalana, è solo una voce onomatopeica che, in questo caso, descrive la rapidità e la facilità di preparazione della salsa (il pil pil, invece, evoca il flebile ribollire dell’olio nel tegame).
A qualche allegro buontempone piace ricordare che il termine “pacchiu” per i siciliani indica il sesso femminile. Come dire una pasta buona ed eccitante come quella cosa lì. Ma non ci sentiamo di avallare tale spiegazione né, tanto meno, di spacciare la pasta a “picchiu pacchiu” come una ricetta afrodisiaca. Più facile è spiegare il nome alternativo “a carrittera” (alla carrettiera), i carrettieri essendo gente di poco tempo e scarsa attrezzatura culinaria (ma di robusto appetito). La salsa, infatti, per la velocità e la semplicità di preparazione si presta ad essere cucinata tra un viaggio e l’altro all’ombra del carretto, su un fuoco improvvisato.
Per la ricetta clicca qui

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