PasquA 1932: Una minestra “strinta” e una Vipera morta

Napoli, 1932. Manca una settimana a Pasqua e la città è satura di colori e di profumi, quelli inebrianti della primavera imminente e quelli invitanti delle cucine, dove alacri massaie preparano il pranzo pasquale secondo le ricette delle tradizioni partenopea e cilentana (i casatielli, il ragù alla cilentana, la sublime pastiera).

La Napoli descritta da De Giovanni è un presepe di mercati e di vicoli, di strade e di mestieri e di una rete fitta di commerci vecchi e nuovi che si intreccia in un dedalo vivissimo in cui si muovono personaggi che rendono Napoli inimitabile, come Bambinella, il femminiello informatore del brigadiere Maione, o Ciccillo ‘o Cecato, il “suonatore di fisarmonica cieco che ci vedeva benissimo…”. Ma nel mirabile affresco dipinto con efficaci pennellate narrative da De Gennaro, si muovono anche maschere tragiche come le camice nere, protagonisti di odiosi episodi d’intolleranza fascista, o torbidi e oscuri manovratori dell’OVRA, il “braccio armato di salutari manette” del regime.

E’ in questo scenario che Cennamo Maria Rosaria, in arte “Vipera” la meglio puttana del “Paradiso”  esclusiva casa di tolleranza nella centralissima via Chiaia, viene trovata uccisa, soffocata da un cuscino (“Trasite, hanno ammazzato a Vipera”).

Vipera è di una bellezza irragiungibile, capace di suscitare amore, passione, odio, invidia, avidità, bigottismo, desiderio in chiunque la circondi, troppi  dei quali avrebbero motivo, occasione ed interesse per assassinarla.

Intanto l’aria di Napoli si satura dei profumi di cucina che precedono la Pasqua.

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