Il risotto di Gadda

Nel 1946 fu pubblicato per la prima volta, in cinque puntate sulla rivista Letteratura, il più noto romanzo di Emilio Gadda, “Quer pasticciaccio brutto di Via Merulana”. La vicenda è ambientata nella Roma degli anni ’20.

Tra queste due date, era il 1938, una famosissima canzone (scritta da Carlo Innocenzi e Alessandro Sopranzi) recitava, a ritmo di foxtrot con passaggi di swing, “se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare, sarei certo di trovar tutta la felicità!”

Dunque tra le brume plumbee del fascismo e il secondo dopo-guerra di ricostruzione e speranza, si inserisce il sogno di una felicità intima, privata, fatta di mogliettine appagate  semplici e carine, di casettine ordinate di periferia e, appunto, di mille lire al mese.

Ma torniamo al romanzo di Gadda.

Protagonista è il commissario Francesco Ingravallo, funzionario molisano della polizia di Stato, meglio conosciuto come «don Ciccio», un personaggio che ha molte cose in comune con lo stesso Gadda, prima fra tutte una profonda passione per la filosofia.

Ciccio Ingravallo “sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. Ma il termine giuridico «le causali, la causale» gli sfuggiva preferentemente di bocca: quasi contro sua voglia” (citiamo dal testo, ndr).

La vicenda è ambientata, come si diceva, nella Roma degli anni ’20. Il clima storico è molto importante per cogliere il tono dell’opera. Attraverso uno schema narrativo fluido e ricchissimo di divagazioni Gadda denuncia la società rigida, ipocrita e ottusa della borghesia fascista, con tutti i suoi miti fasulli: l’efficientismo degli apparati burocratici, la fertilità come unica prerogativa femminile, la virilità ostentata e arrogante, una famiglia che dietro all’apparente solidità nasconde violenza e sopraffazione.

Nella primavera del 1927 a Roma, in uno stabile signorile di via Merulana, soprannominato “er palazzo dell’oro” perché abitato da agiati borghesi, sono commessi due delitti: una rapina ai danni  della Contessa Menegazzi e pochi giorni dopo, sullo stesso piano nell’appartamento di fronte, l’assassinio di Liliana Balducci, una signora ancor giovane, bella e malinconica afflitta da un frustrato desiderio di maternità. Le ricerche condotte dal Commissario Ingravallo, celibe e fortemente impressionato dalla morte della Balducci, si orientano a collegare l’omicidio con la precedente rapina. L’intrigo, o meglio lo “gnommero” come lo definisce don Ciccio nel suo colorito dialetto molisano non troverà soluzione. Il romanzo, uno dei più belli della letteratura italiana del novecento, resta perciò un giallo atipico.

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