Peccato mortale di Carlo Lucarelli (Einaudi Stile Libero, 2018)
Tra il 25 luglio e l’8 settembre del 1943 l’Italia vive il periodo forse più drammatico della sua storia recente: si sveglia senza più il fascismo (dopo 21 anni il Governo fascista crollava e Mussolini veniva arrestato e relegato in prigione sul Gran Sasso) ma il mattino dopo si ritrova con i tedeschi in casa.
L’8 settembre 1943, dopo l’incomprensibile ritardo con cui il Maresciallo Badoglio aveva annunciato l’armistizio già sottoscritto cinque giorni prima (e che provocò la reazione violenta delle forze alleate che bombardarono Civitavecchia, Viterbo e Napoli nell’intento di costringere il Maresciallo ad annunciare formalmente il cambiamento di campo italiano) il Paese e tutto il suo apparato statale implode: il re Vittorio Emanuele III e il figlio Umberto, il Capo del Governo Badoglio e i vertici militari fuggono tutti dalla capitale incuranti, con irredimibile miseria umana e istituzionale, del destino dell’Italia (Churchill e i Reali d’Inghilterra non abbandoneranno mai Londra sotto i bombardamenti, perfino le principessine Elisabetta e Margaret la sera parlavano alla radio per tranquillizzare i bambini).
Salvatore Satta (giurista e scrittore) nel suo romanzo di riflessioni De profundis (Cedam 1948, ripubblicato poi da Adelphi nel 1980 e da Ilisso nel 2003) definì l’8 settembre la “morte della patria“.
L’espressione venne ripresa più tardi dagli storici Ernesto Galli della Loggia e RenzoDe Felice, secondo i quali il sentimento nazionale italiano, nato con il Risorgimento, è morto in quella infausta data per non rinascere mai più (tesi peraltro avversata da altri storici come Claudio Pavone e Nicola Tranfaglia e, da ultimo, dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi).
Il 25 settembre dello stesso anno, tra le undici e trenta e mezzogiorno, Bologna (la città in cui si muove il Commissario De Luca) subisce l’incursione aerea più disastrosa di tutta la guerra. 210 tonnellate di esplosivo vengono sganciate dalle fortezze volanti americane tra il centro e la periferia distruggendo quasi 500 edifici e provocano almeno duemilacinquecento morti e quasi altrettanti feriti (impossibile accertare il numero dei dispersi).
Migliaia di profughi scappano verso le colline e le campagne circostanti da una città indifesa e vulnerabile.
In caos è totale (nella notte tra l’8 e il 9 settembre i tedeschi avevano preso possesso della città stabilendo il proprio quartier generale presso hotel Baglioni; la stessa polizia criminale presso la quale è in forze il Commissario De Luca, sembra dissolversi in attesa di un nuovo ordine) ma il personaggio nato dalla penna di Carlo Lucarelli, seguendo le piste di un corpo senza testa e di una testa senza corpo, continua a nutrire la sua ossessione di cane da caccia: arrestare gli autori di alcuni feroci omicidi legati a un turpe traffico di cocaina. Perché giustizia sia fatta? Improbabile in quei giorni in cui niente è quel che sembra, ma perché la verità venga a galla. Non senza, però, accettare un compromesso che sarà il suo peccato mortale.
Ambientato in una Bologna in cui scarseggiano le derrate alimentari e il caffè vero è un miraggio, nell’intrigante romanzo di Lucarelli si mangia poco.
Noi abbiamo scovato una spigola al forno (pag. 191): un miracolo gastronomico di essenziale voluttuosità.
Posizioniamo le spigole già pulite ed eviscerate sul fondo del forno. Poniamo al suo interno i pomodorini tagliati, il prezzemolo tritato, limoni tagliati a fette, un po’ di capperi, aglio precedentemente pelato e tagliato a metà, un po’ di pepe, sale quanto basta, un bicchiere d’acqua.
Cuociamo per 20 minuti le spigole nel forno a 180 gradi. Puliamo, mettiamo nel piatto e serviamo.