Gamberoni e granchi per Kay Scarpetta

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Patricia Cornwell
E’ uno stereotipo tutto americano quello di credere che gli italiani amino mangiar bene e che, pertanto, sappiano cucinare. Tuttavia, la Cornwell cosa fa cucinare alla sua investigatrice di genitori veneti? Un baccalà mantecato? Una “sopa coada” [1]? Sarde fritte in “saor” [2]? Macché, una frittata di granchi, realizzata secondo una ricetta di spudorata matrice americana! [3]
Il libro
“Morte innaturale” di Patricia Cornwell, Mondadori editore.
La trama
Kay Scarpetta stavolta si trova alle prese con un cadavere smembrato, al quale sono state asportate braccia e gambe, con strane pustole su tutto il corpo. La morte sembra attribuibile a uno dei tanti serial killer che infestano la vita professionale dell’investigrarice di origini italiane nata dalla penna insanguinata della Cornwell, ma un’indagine più accurata rivela che questa persona era stata infettata da un virus simile al vaiolo, un virus che dovrebbe essere stato sradicato dalla faccia della Terra.
Kay scopre essere il bersaglio di Deadoc, un folle untore che vuole contagiare l’umanità con il virus e che riesce ad arrivare tanto vicino a lei da inocularle il virus.
Nel frattempo prepara un pasto caldo per il suo uomo (vedi la ricetta). Dopo di che inizia una lotta contro il tempo per risalire all’identità di Deadoc ed evitare l’insorgere di una nuova pandemia mortale.
In lieto fine è assicurato (e anche la ricetta non è niente male). Da provare, entrambi.
La ricetta: frittelle di granchi, con gamberoni e salsa di rafano.
granchio
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Fare saltare in padella (appena una passata!) sei gamberoni sgusciati, da servire freddi come antipasto, insieme a una salsa di rafano.
I granchi (ovviamente sgusciati) vanno preparati così: si prende un uovo sbattuto, mezzo cucchiaino di senape, qualche goccia di salsa Worcestershire, quattro cracker senza sale sminuzzati. Poi si trita una cipolla e un peperone verde. Per finire, uno o due cucchiaini di prezzemolo, sale e pepe. Si mescola il tutto e se ne fanno delle frittelle, passandole a temperatura media fino a dorarle.
A parte si consiglia un’insalata di cavolo.
[1] La Sopa coada, o Zuppa covata, di origini trevigiane, è un piatto povero, fatto di avanzi di pane, verdure, brodo caldo e piccione.
[2] Secondo un’antica tradizione dei marinai veneziani il pesce, variamente cotto, andava conservato in “saor”, ovvero affogato nella cipolla e nell’aceto, insaporendolo, magari, con uvetta di Corinto, pinoli e spezie, secondo il gusto della cucina orientale bizantina. Così si preparavano sarde, sardoni, papaline e  sogliole (la nota è tratta dal sito Il Cucchiaio d’argento, http://www.cucchiaio.it).
[3] Tuttavia, chi conosce bene la Scarpetta non se ne stupisce più di tanto. Kay, infatti, laureata in anatomopatologia forense e giurisprudenza  e la sorella Dorothy, scrittrice di libri per l’infanzia, pur essendo figlie di genitori di origini venete, attaccatissimi alle proprie origini italiane, assorbono in pieno la cultura americana.
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