Metti un’orca a cena.

LE “FERE”, ESSENZIALMENTE FEMMINE, SONO VORACI E SADICHE, FURBE E IRRIDENTI.

Oggi parliamo di uno dei migliori romanzi del novecento, “Horcinus orca”, di Stefano d’Arrigo (prima edizione, 1975, Mondadori).

Questa la trama: un giorno d’ottobre del 1943, in un paesaggio distrutto dalla guerra, ‘Ndria Cambria,  un marinaio del Regio Esercito, torna ad Acqualatroni, il suo paese d’origine al di là dello Stretto di Messina, e ritrova il padre e gli altri pescatori stremati dalla fame e alle prese con un enorme animale marino, un’Orca, appunto, o ferone, che sta morendo nelle acque davanti al paese.

L’Orca è, quindi la protagonista sempre immobile del romanzo intorno alla quale, però, si muovono agilissimi i delfini, le “fere”. Per i pescatori di Acqualatroni, le fere però, sono molto lontane dall’idea comune del delfino, termine che in quel mondo non è mai usato, ma  astutissime e crudeli nemiche dell’uomo.

Le “fere”, essenzialmente femmine, sono voraci e sadiche, furbe e irridenti. Onnipresenti contendono ai pescatori il dominio sul mare in una lotta quotidiana, che nei periodi di carestia genera la famera: fame nera, fame a fera.

La fera (o anche “pesce bestino”) è dunque un animale malvagio nel mondo dei pescatori siciliani che ne conoscono la vera natura, mentre per il resto del mondo è un delfino, simpatico ed elegante.

Niente, però, a confronto dell’Orca, l’orcaferone che stazione moribondo e dannifero di fronte alla costa siciliana: un gigantesco animale solitario apportatore di morte che ha fama di essere immortale, che è la Morte stessa.

Le fere sono da principio spaventate e attratte da questo grande animale comparso all’improvviso nelle loro acque e contemplano ammirate i getti d’acqua che emette dallo sfiatatoio. Ma quando si accorgono che l’animalone è praticamente cieco, cominciano a concepire il diabolico piano di staccargli la coda e farlo morire, in barba alla sua fama di immortale. Si organizzano con cura e passano all’azione tutte insieme, dividendosi diligentemente i compiti e suscitando l’ammirazione dei pescatori, che assistono da riva allo spettacolo grandioso e grottesco della morte dell’orcaferone.

Nel frattempo, tutto questo sconquasso di mare fa emergere dalle profondità sabbiose un subisso di “cicirella” che, finalmente, sazia la fame dei pescatori.

Romanzo chilometrico (oltre mille pagine), assai im  pegnativo e indimenticabile. 

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